Autore: Marco Severini
Argomento: biografia
Voto: 7 (scarno ed agiografico)
La biografia del mio concittadino, il senigalliese Girolamo Simoncelli, scritta dal professor Marco Severini è sicuramente interessante e benvenuta, ma l'ho trovata estremamente scarna ed agiografica sulla figura del "martire della libertà".
In effetti è molto convincente la parte in cui Severini smonta la tesi accusatoria della Sagra Consulta, il tribunale ecclesiastico, con documenti dell'epoca mai presi in considerazione dalle precedenti biografie.
La condanna di Simoncelli fu infatti un mero omicidio politico, in un contesto in cui c'era stata una "rivoluzione", con l'avvento della Repubblica Romana, e una "restaurazione" con il ritorno del Papa a Roma grazie all'aiuto delle armate francesi, asburgiche e borboniche.
Essendo Simoncelli il principale esponente della Repubblica Romana a Senigallia, egli fu un facile capro espiatorio della repressione pontificia.
E' molto carente invece la parte che riguarda il rapporto tra Simoncelli, capo della Guardia Nazionale (la polizia dell'epoca), e la "Compagnia Infernale" o gli "Ammazzarelli" che infestò il senigalliese negli anni seguenti alla fuga del Papa a Gaeta e della Repubblica Romana.
Di questo rapporto non c'è alcuna analisi approfondita, ma l'autore si limita a citare dei documenti dell'epoca che dipingono il Simoncelli come un paciere tra questi gruppi anarcoidi ed i potentati del vecchio regime.
Il compito di Simoncelli sarebbe stato quello di reprimere con maggior vigore i gruppi sottoproletari guidati da Gaspare Francesconi, detto "lasagna", il cui rapporto col patriota senigalliese non appare ben chiaro.
In questo contesto si delinea l'incapacità di Simoncelli di mantenere l'ordine, cosa grave per un capo della polizia, e di fronteggiare una situazione molto complicata con maggior vigore.
Tra i suoi errori e le sue manchevolezze vanno dunque ascritti sia l'uccisione dei detenuti sotto la sua custodia alla Rocca di Senigallia, sia l'avventato arresto e il trasferimento ad Ancona del conte Arsilli (non Armellini come scritto in precedenza) e dei parenti di Pio IX (fatto con le più buone intenzioni, ma conseguenza dell'incapacità della polizia di garantire la sicurezza delle persone).
Insomma i tre capi di imputazione per cui Simoncelli fu condannato a morte hanno una certa logicità, non sono del tutto pretestuosi, anche se la pena appare assolutamente sproporzionata alla gravità delle colpe, invece l'autore sorvola del tutto su queste riflessioni incensando senza ritegno la figura, comunque positiva, del nostro concittadino.
Alla fine della lettura verrebbe da dire: "Simoncelli santo subito", mentre ci si sarebbe potuto aspettare un maggiore approfondimento ed un maggiore spirito critico.
Interessante la parte memorialistica con l'evoluzione della storiografia su Simoncelli e la diatriba tra laici e clericali sulle figure del patriota della Repubblica Romana e di Pio IX.
Argomento: biografia
Voto: 7 (scarno ed agiografico)
La biografia del mio concittadino, il senigalliese Girolamo Simoncelli, scritta dal professor Marco Severini è sicuramente interessante e benvenuta, ma l'ho trovata estremamente scarna ed agiografica sulla figura del "martire della libertà".
In effetti è molto convincente la parte in cui Severini smonta la tesi accusatoria della Sagra Consulta, il tribunale ecclesiastico, con documenti dell'epoca mai presi in considerazione dalle precedenti biografie.
La condanna di Simoncelli fu infatti un mero omicidio politico, in un contesto in cui c'era stata una "rivoluzione", con l'avvento della Repubblica Romana, e una "restaurazione" con il ritorno del Papa a Roma grazie all'aiuto delle armate francesi, asburgiche e borboniche.
Essendo Simoncelli il principale esponente della Repubblica Romana a Senigallia, egli fu un facile capro espiatorio della repressione pontificia.
E' molto carente invece la parte che riguarda il rapporto tra Simoncelli, capo della Guardia Nazionale (la polizia dell'epoca), e la "Compagnia Infernale" o gli "Ammazzarelli" che infestò il senigalliese negli anni seguenti alla fuga del Papa a Gaeta e della Repubblica Romana.
Di questo rapporto non c'è alcuna analisi approfondita, ma l'autore si limita a citare dei documenti dell'epoca che dipingono il Simoncelli come un paciere tra questi gruppi anarcoidi ed i potentati del vecchio regime.
Il compito di Simoncelli sarebbe stato quello di reprimere con maggior vigore i gruppi sottoproletari guidati da Gaspare Francesconi, detto "lasagna", il cui rapporto col patriota senigalliese non appare ben chiaro.
In questo contesto si delinea l'incapacità di Simoncelli di mantenere l'ordine, cosa grave per un capo della polizia, e di fronteggiare una situazione molto complicata con maggior vigore.
Tra i suoi errori e le sue manchevolezze vanno dunque ascritti sia l'uccisione dei detenuti sotto la sua custodia alla Rocca di Senigallia, sia l'avventato arresto e il trasferimento ad Ancona del conte Arsilli (non Armellini come scritto in precedenza) e dei parenti di Pio IX (fatto con le più buone intenzioni, ma conseguenza dell'incapacità della polizia di garantire la sicurezza delle persone).
Insomma i tre capi di imputazione per cui Simoncelli fu condannato a morte hanno una certa logicità, non sono del tutto pretestuosi, anche se la pena appare assolutamente sproporzionata alla gravità delle colpe, invece l'autore sorvola del tutto su queste riflessioni incensando senza ritegno la figura, comunque positiva, del nostro concittadino.
Alla fine della lettura verrebbe da dire: "Simoncelli santo subito", mentre ci si sarebbe potuto aspettare un maggiore approfondimento ed un maggiore spirito critico.
Interessante la parte memorialistica con l'evoluzione della storiografia su Simoncelli e la diatriba tra laici e clericali sulle figure del patriota della Repubblica Romana e di Pio IX.
5 commenti:
Se tu scrivi:"anche se la pena appare assolutamente sproporzionata alla gravità delle colpe" immagino che dovresti verificare se il codice penale in vigore al tempo prevedeva o meno questa pena per quel tipo di reato. Mi sembra essenziale. ciao
Accetto la critica, ma secondo me l'incapacità non andrebbe punita con la pena di morte.
Diverso sarebbe il discorso se si provasse una certa connivenza tra Simoncelli e la Compagnia Infernale del Lasagna.
I documenti portati da Severini sembrano dimostrare che questa connivenza non ci fu, ma che non ci fu neanche grande forza nel combatterlo.
Diciamo che Simoncelli fu un grande patriota, ma un comandante della polizia abbastanza incapace di gestire una situazione forse più grande di lui.
Breve replica.
Certamente ognuno può dare di un'opera la lettura che vuole e in quanto docente, tra l'altro, di Storia della storiografia, lo so bene.
Ma non mi pare che la mia difetti di spirito critico né, ancor meno, che sia agiografica. I veri agiografi, di una sponda e dell'altra, sono stati i Bonopera, i Polverari, i Mencucci e, in tempi più recenti, tal...Neoguelfo.
Grazie comunque per il voto, che non prendevo dai tempi del Liceo (in matematica).
La vicenda Simoncelli va compresa appieno nell'alveo della Repubblica Romana, cioé nel tentativo mazziniano di modernizzare istituti arretrati, decrepiti e autoritari inserendo i principi della democrazia repubblicana, che sono oggi le basi del nostro vivere civile.
Mi sarebbe piaciuto scoprire nuovi documenti sugli ammazzarelli, ma così non è stato, anche perché la storia insegna che i delinquenti e gli assassini raramente lasciano tracce del proprio operato. E la storia senza documenti non si fa (si fanno invece polemiche, diatribe, etc.).
La prova offerta da Simoncelli - che non era capo della polizia, ma comandante della Guardia Nazionale, una sorta di truppa territoriale dell'esercito repubblicano - fu di grande coraggio e non di tiepida moderazione, come il recensore arguisce: fronteggiare violenti e facinorosi che non avevano nulla da perdere e si credevano padroni della situazione fu tutt'altro che semplice e comportò una buona dose di sangue freddo. Non poche persone dovettero la vita agli interventi tempestivi del commerciante senigalliese.
Del resto, il libro documenta ampiamente gli episodi-chiave di quei mesi e mi stupisce che non sia stato letto con attenzione il capitolo 5 che prova, a mio avviso incontrovertibilmente, che i Mastai sarebbero stati passati per le armi se fossero rimasti a Senigallia.
Un'ultima considerazione. Nella Senigallia del '49 non ci fu alcun conte Armellini (semmai Arsilli), poiché quegli era triumviro a Roma, coma la mia biografia del 1995 ("Armellini il moderato", che compare da tempo nella biblioteca del Centro Saline) ha ricordato.
Al prossimo libro dunque.
E che lo spirito critico e una lettera più attenta sia con tutti noi!
Marco Severini
"La prova offerta da Simoncelli - che non era capo della polizia, ma comandante della Guardia Nazionale, una sorta di truppa territoriale dell'esercito repubblicano - fu di grande coraggio e non di tiepida moderazione, come il recensore arguisce"
Mah, mi sembra che anche alla presentazione qualcuno abbia affermato che in altre città, Pesaro se ben ricordo, la milizia (o come si vogliono chiamare le truppe atte al mantenimento dell'ordine pubblico) combattè le bande con molta più efficacia rispetto a Senigallia.
"Mi sarebbe piaciuto scoprire nuovi documenti sugli ammazzarelli, ma così non è stato, anche perché la storia insegna che i delinquenti e gli assassini raramente lasciano tracce del proprio operato."
Purtroppo questo è assolutamente vero, ma mi piacerebbe capire come abbia fatto il lasagna a prendere dei voti (19) anche alle elezioni del comandante della Guardia, ruolo poi ricoperto proprio da Simoncelli.
Sarebbe interessante capire quali rapporti ci fossero tra questi due uomini e quale grado di tolleranza ci fosse verso i comuni briganti (magari mascherati da rivoluzionari), che potevano partecipare anche alle elezioni per il comando delle forze dell'ordine!
"mi stupisce che non sia stato letto con attenzione il capitolo 5 che prova, a mio avviso incontrovertibilmente, che i Mastai sarebbero stati passati per le armi se fossero rimasti a Senigallia."
Io veramente ho letto il capitolo 5 e ho capito perfettamente che Simoncelli agì in perfetta buona fede e con le migliori intenzioni.
Il fatto che la sua Guardia Nazionale non risucisse a garantire la sicurezza di tali persone mi lascia abbastanza perplesso circa la capacità di Simoncelli di garantire l'ordine pubblico a Senigallia.
Da capire è il perché:
fu colluso con gli ammazzarelli?
Fu un incapace?
Non aveva abbastanza truppe per svolgere questo compito?
Perchè non chiese aiuto ad altre autorità per fronteggiare il fenomeno?
Questo dalla biografia non si capisce bene.
"Un'ultima considerazione. Nella Senigallia del '49 non ci fu alcun conte Armellini (semmai Arsilli)"
Mi scuso per il qui pro quo!
"E che lo spirito critico e una lettera più attenta sia con tutti noi!"
Mah, io penso di aver letto la biografia senza pregiudizi (tra l'altro sono assolutamente laico ed anti-clericale) e ho scritto le mie considerazioni.
Ho sottolineato ciò che mi ha convinto, ciò che non lo ha fatto e ciò che mi sarebbe piaciuto conoscere, ma su cui magari non ci sono documenti.
L'ho trovata abbastanza scarna, nel senso che avrei voluto avere ulteriori informazioni per disegnare un quadro più completo della situazione e più strumenti per comprenderla.
Agiografica perché non ho rilevato alcuna critica all'operato di Simoncelli, o almeno non ho trovato quelle critiche che sono venute in mente a me leggendo la sua opera.
A causa dell'interesse per l'argomento ho anche intrapreso la lettura del libro di Luana
Montesi su Bonopera, in cui sono presenti anche i documenti del processo Simoncelli, proprio per avere dei termini di paragone.
La ringrazio infine per il suo intervento, non capita spesso che un autore risponda alle critiche dei lettori!
Grazie per la segnalazione!
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